lunedì 6 giugno 2016

Rigoletto e i cortigiani



Il mio coinvolgimento in una vicenda che sta avendo eco nazionale (beh, sono stato intervistato anche da Radio Uno: qui, dal minuto 24 e 20") ha varie conseguenze. Quelle spiacevoli, è che mi presenteranno il conto: non è bello, per tre mila colleghi scarsi, avere il vago sospetto che qualcuno stia suggerendo che finiranno all'inferno, girone degli ignavi. E poi ci saranno i conti "privati", ai quali risponderò come si confà. Ma ci sono delle cose che se non si fanno, si perde il rispetto per se stessi. E io invece di me voglio mantenere una discreta opinione.

Ma passiamo alle conseguenze piacevoli: sto conoscendo gente! Così per il Prof. Giovanni Neri, mai incontrato in vita mia, ma ho scoperto, primo, che esiste, e secondo, che ha un blog simpatico. Ed è un grande esperto di musica.

Della vicenda in questione, ha scritto per esempio qui, in un pezzo intitolato "Accademici: vil razza dannata". E cita una vecchia vicenda di storia universitaria:

"Quando il fascismo obbligò gli accademici al giuramento di fedeltà al regime in assenza del quale essi sarebbero stati licenziati solo uno sparuto plotone di “eroi” in tutta Italia (fra i quali Francesco ed Edoardo Ruffini, Fabio Luzzatto, Giorgio Levi Della Vida, Gaetano De Sanctis, Ernesto Buonaiuti, Vito Volterra, Bartolo Nigrisoli, Marco Carrara, Lionello Venturi, Giorgio Errera e Piero Martinetti) tenne la schiena dritta e si ribellò, dimostrando gli altri, se mai ve ne fosse bisogno, che anche i professori “tengono famiglia” e che “ognuno per sè e Dio per tutti”."

Parecchi anni orsono fui responsabile di un laboratorio dell'Università di Bologna dove si producevano applicazioni Internet. Ero orgoglioso di come andavano le cose: forse per primi, qui, utilizzammo un sistema integrato e coerente di project manajement. Imparammo molto. Anche le mie ore venivano ascritte ai diversi progetti, con un'imputazione virtuale (mi pare di ricordare ancora che "caricassi" 150 Euro al giorno), perché in realtà non intascai mai un euro. L'idea era che quel compenso "virtuale" del mio tempo dovesse poi pagare degli assegni di ricerca. Così in parte fu, e alla fine, quando per motivi che non sto a raccontare chiudemmo (inutile far polemiche dopo dieci anni, quando non le feci allora), lasciammo all'Università un gruzzoletto che mi pare non fosse lontano dai cento mila Euro.

Ma volevo dire un'altra cosa. Avevamo un buon numero di server, e la regola per i nomi l'avevo decisa io: ognuno si chiamava come quei professori che, non giurando fedeltà al regime fascista, seppero tenere la schiena dritta. E allora, avanti così.

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