domenica 3 gennaio 2016

Università e legge di Goodahrt



Recentemente il mio dipartimento ha assunto un bravo giovane, in base a un criterio giustamente meritocratico. Il collega che relazionava in merito alla selezione ha dichiarato che si tratta di una persona che sicuramente contribuirà a portarci punti nella "VQR" (Valutazione della qualità della ricerca).

Mi è venuta in mente la Legge di Goodhart, secondo la quale "when a measure becomes a target, it ceases to be a good measure." E' un fenomeno ben noto a chi si occupa di sistemi di incentivi, ed è particolarmente rilevante all'interno delle amministrazioni pubbliche, i cui dipendenti hanno obiettivi molteplici e per questo "confusi". Noi professori universitari non facciamo eccezione.

Così, invece di preoccuparci della qualità del nostro lavoro nei suoi molteplici aspetti, rischiamo di fossilizzarci su una misurazione meccanica della medesima. Non è la stessa cosa e causa distorsioni. Nel caso nostro, che siamo economisti, si accentua un tratto di autoreferenzialità che talvolta caratterizza la nostra disciplina. Diminuiscono ancor di più gli incentivi per essere curiosi oltre al proprio naso, e si rischia di creare dei mostri che conoscono a memoria le graduatorie delle riviste scientifiche, che sono espertissimi dei temi di cui si occupano, ma avulsi dalla realtà.

Recentemente il nostro Direttore di dipartimento ha chiesto il voto al Consiglio per suffragare la sua decisione di omettere dal verbale alcune dichiarazioni rese; insomma, una richiesta di appoggiare qualcosa che somigliava molto a un reato di falso ideologico (Art. 479 del Codice Penale). Due soli i voti contrari (*). Non capisco come, all'interno di un'assemblea di plurilaureati, sia stata possibile una tale aberrazione.

Senz'altro il nostro lavoro deve essere valutato. Il sistema attuale si presta certo anche a un utilizzo strumentale, e all'invocazione del Dio della meritocrazia quando si desidera, ovvero non quando magari si devono risolvere problemi "familiari" - quanti coniugi da sistemare nei nostri dipartimenti! Ma, se applicato coerentemente, è migliore rispetto ai molti arbìtri del passato. Non ho soluzioni in tasca di fronte a un problema complesso. E egoisticamente non dovrei lamentarmi, dato che in queste valutazioni di solito mi piazzo bene.

Penso però che il lavoro del professore universitario si accompagni anche a un ruolo sociale che non è misurabile da un criterio ministeriale. E il magistero nei confronti dei nostri studenti dovrebbe richiedere certe qualità che sono difficili da descrivere - forse, il "tenere la schiena dritta"?, ma che talvolta risultano essere osservabili. Per esempio, se il tuo Direttore mette ai voti che vengano omesse da un verbale delle dichiarazioni rese, tuo dovere è alzare la mano e opporti. Se non lo fai, o hai qualche serio problema di rapporto con la realtà, o la schiena dritta non la sai tenere.

Questo guardando all'ombra del nostro naso. Oltre ad essa, lo scenario generale dell'università italiana negli ultimi anni mi pare ben descritto da un breve intervento di Gianfranco Viesti.

Proprio perché le questioni sono complesse, allargare lo sguardo è doveroso. E, per quel che mi riguarda, al diavolo i "punti" che riceveremo con la VQR: il bello del nostro lavoro è la libertà.

(*) Proposta poi rientrata in seguito a "vive proteste" - insomma, l'eventuale reato alla fine non è stato commesso.

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