martedì 7 luglio 2015

Grecia antica (5 anni fa)



Nel maggio del 2010, il Prof. Giorgio Basevi, decano dei nostri economisti internazionali e ora Professore emerito, organizzò un incontro al Dipartimento di Scienze Economiche dell'Università di Bologna a proposito della crisi greca. Parte del dibattito vertette sui cosiddetti "twin deficits", ovvero il rapporto tra i deficit (surplus) pubblico e delle partite correnti della bilancia commerciale. In soldoni (è il caso di dirlo), se la Grecia deve pagare un debito, per generare le risorse necessarie ha bisogno di esportare più di quello che importa.

Uno dei relatori considerò diversi scenari nel percorso di rientro del debito. Lo considerai un intervento poco rilevante, perché mi pareva evidente che la Grecia il debito non l'avrebbe mai potuto pagare. Quell'irrilevanza percepita mi parve un ottimo motivo per scrivere una lettera ai colleghi, attività che io amo, e che loro hanno finito per considerare parte ineluttabile della loro esperienza professionale/esistenziale presso il nostro Dipartimento.

Osservavo che, dati alla mano, "dal '61 in poi, la bilancia commerciale greca non ha MAI avuto un segno positivo".

Notando che la Grecia "dovrà iniziare ad avere un surplus della bilancia commerciale", mi domandavo come questo potesse avvenire, considerato che "esporta quasi tutto in Europa", per cui "una svalutazione dell'Euro non migliorerebbe necessariamente la situazione. Pagherebbero di più energia, eccetera, con pochi vantaggi in termini di esportazioni". Più nel dettaglio, notavo che se "la Grecia dovrà iniziare a risparmiare/avere un surplus di bilancia commerciale, per capire la natura degli aggiustamenti (nei prezzi relativi) necessari", è "essenziale avere idee più precise su composizioni & elasticità connesse".

Aggiungevo che "se la BCE non vuole inflazione, allora alla Grecia come opzione rimane una deflazione pesante, con tutti i costi (economici e politici) connessi. E con esiti non chiari sul rapporto debito/prodotto nazionale".

Concludevo affermando che "ovviamente nel lungo periodo si può pensare a una politica di sviluppo per la Grecia, tale da cambiare la sua struttura economica e quindi la natura del problema, ma già sappiamo che cosa accade nel lungo periodo. E' utile ricordare che siamo reduci da decenni di politiche di sviluppo fallimentari (per esempio nel nostro mezzogiorno, malgrado le ingentissime risorse impiegate). Secondo Transparency International, la Grecia è tra i paesi più corrotti d'Europa. La qualità della governance pubblica è bassa. Non basterebbe pompare altri soldi (europei?) dentro al sistema, si dovrebbe affrontare un difficilissimo problema di governance".

Questo, cinque anni fa. Non ricordo questo dibattito per dire "l'avevo detto". Di fatto, certo non avevo previsto il protrarsi così prolungato della stagnazione in Europa. Anzi, confessavo ai colleghi che "l'unico esame di economia internazionale lo sostenni in Erasmus - dove notoriamente si hanno altre priorità" (vero è che il mio docente fu l'ottimo Tony Venables).

Il punto è che nel 2010 qualunque studente di economia, purché dotato in minimo di sensibilità per i problemi di governance e per la dimensione politica delle questioni (ovvero: purché non del tutto obnubilato da eccessivi studi di teoria economica, o meglio, da nulli studi delle altre scienze sociali), aveva gli strumenti per capire la situazione.

Un collega chiosò al mio commento: "sola osservazione: l'aggiustamento (deflazione) della Grecia sarà tanto meno pesante quanto più espansiva sarà (dall'altro lato) la pol.ec. tedesca. Non che ci si debba aspettare molto, ma solo per dovere di completezza. E comunque, rimane il fatto che l'aggiustamento non ripaga il debito pubblico. Un Brady plan o simile per il debito ci vuole comunque".

Sulla prima questione, si è visto. Sulla seconda, l'alternativa era, ed è, tra un default e una ristrutturazione, dove per ristrutturazione si deve intendere un "defualt ordinato".

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